Prima di rialzarmi, lasciami urlare: oggi
io non ho sentinelle, ho solo abiti larghi in cui nascondermi.
Urlo l’ingiustizia dei ricchi che fanno i buoni,
il mio urlo si scontrerà contro un muro di indifferenza,
ma urlerò lo stesso, lo stesso, io protesto, io invoco
come nell’antico testamento, la vendetta di Dio, che vede, che vede,
e ascolta il mio grido.
Avrò misericordia degli ipocriti tutti, quando mi sarò rialzata.
Ma adesso, in terra, io posso, io voglio urlare.
A te, che fai sempre finta di aiutarci, ma prima valuti
quale sarà il tuo tornaconto.
A te, specialista delle belle parole, butti gli avanzi e poi scompari,
(il febbricitante cane randagio li consuma, felice,
e poi continua a navigare nel buio, senza amore
reciproco.)
Proprio a te, che passerai queste feste al mare con figli e nipoti,
Che quel cane randagio ti sia fantasma negli incubi delle tue notti,
Che tu possa capire, ma un attimo troppo tardi,
Che tu possa sentire fame, sete, abbandono e solitudine,
Che la mano che non hai teso possa caderti di netto,
Che tu possa vivere in un respiro, tutto il dolore di anni del povero
Che ogni tua parola e pensiero di giudizio possa trasformarsi nella tua malattia
Quotidiana, e non ti dia pace, non ti dia pace, mai pace, mai.
(Adesso mi rialzo intanto fammi finire, ti prego, la rabbia mi serve a tenere dritta la mia schiena)
Tu, che neghi la condivisione che potresti dare al povero,
Tu, ricordati, che nell’eternità sarà il contrario.
Sarai meravigliato e addolorato, perché ti credevi tanto giusto, tanto buono.
Sarebbe stato questione di un attimo, per salvare un fratello.
Lo sguardo stanco e le righe tese del viso benedetto del povero che amo,
Ti siano accusa e condanna eterna.
E adesso mi alzo, e ti perdono.
Ma non lo scrivo qui.